Da Edward Hopper ai Social Network: Perché siamo soli

Ti sei mai sentito profondamente solo? Ti sei mai trovato in una stanza affollata, sentendoti comunque vuoto? Questa è la sensazione che Edward Hopper ha sempre cercato di esprimere attraverso le sue opere.

Da Edward Hopper ai Social Network: Perché siamo soli

Hopper ha creato un mondo di alienazione e noia, distillando una verità sull’esperienza urbana moderna: possiamo vivere in una città vibrante e vivace, circondati da intrattenimento e comunità, e tuttavia sentirci terribilmente soli.

Oggi voglio fare un confronto tra la società moderna, che spesso ci isola, ci punisce facendoci sentire soli, e le opere di Edward Hopper, che, anche un secolo fa, rappresentavano in modo toccante la solitudine che oggi rimane sorprendentemente attuale.


Perché ci sentiamo soli?

La solitudine è un’esperienza complessa e profondamente personale, che varia notevolmente da persona a persona. Potrebbe non esserci un’unica risposta a cosa significhi veramente la solitudine, poiché può essere interpretata in innumerevoli modi. Eppure, le opere di Edward Hopper riescono a catturare e trasmettere l’essenza della solitudine senza bisogno di parole o spiegazioni. É difficile evitare la conclusione che quest’uomo silenzioso, riservato e introspettivo attraverso i suoi dipinti ci stesse presentando il suo stesso senso di alienazione e isolamento; la sua propria tristezza interiore.

Non so rispondere quindi a che cosa sia di per se la solitudine, ma posso, in qualche modo dirvi perché la solitudine certe volte ci fa cosi male.

Perché essere soli ci rende tristi?

Dal punto di vista scientifico, gli esseri umani sono animali sociali, un fatto sottolineato più volte. Ciò significa che abbiamo un bisogno innato di connessione e appartenenza; la mancanza di interazioni significative può portare a sentimenti di isolamento e tristezza. Questa è una verità innegabile supportata dalla scienza.

Sapiens: A Brief History of Humankind di Yuval Noah Harari fa luce sul motivo per cui gli esseri umani si sono evoluti fino a diventare animali sociali. L’unità è la nostra forza. A differenza di altre specie, gli esseri umani non sono particolarmente adatti a sopravvivere da soli; prosperiamo e sopravviviamo attraverso le nostre interazioni e la cooperazione reciproca. Tutto ciò può spiegare perché essere fuori dal nostro gruppo ci rende tristi; ci sentiamo deboli. Sapere di essere soli mentre il resto della tua specie forma un gruppo, è spaventoso. Non è solo spaventoso perché ci sentiamo deboli rispetto al gruppo stesso, ma ci ricorda anche quanto dipendenti siamo da quel gruppo che spesso non sentiamo affine.

Edward Hopper, Nighthawks - Art Institute of Chicago

Immaginate questa scena oggi: persone con espressioni assenti e sguardi persi, disconnessi gli uni dagli altri. Nel nostro mondo moderno, i loro occhi sarebbero probabilmente fissi su ciò che il regista britannico Charlie Brooker ha giustamente definito “Black Mirror”. Il Black Mirror è il dispositivo che sicuramente stai utilizzando per leggere questo articolo. Quando spento, riflette quella realtà che ci ha porta via: uno specchio nero che riecheggia lo sguardo perduto, il nostro, che Hopper dipinse nei suoi dipinti anni fa. Diventiamo cosi uno dei protagonisti delle sue tele. Spesso soli, sempre assenti.

Edward Hopper, Soir Bleu - Whitney Museum di New York

Il Clown senza publico

Soir Bleu (Serata blu), un'opera che Hopper dipinse dopo il suo soggiorno a Parigi (il che spiega il titolo francese). È uno dei miei pezzi preferiti di Hopper, ogni personaggio ha un é significativo all'interno del quadro che esprime al 100% l'idea e il mondo concepito dal pittore. Oggi peró voglio concentrarmi solo sul protagonista indiscusso: il clown.

Il clown, con una sigaretta in bocca, è seduto al tavolo di quello che sembra essere a tutti gli effetti un caffè parigino. Si distingue nettamente dal resto della scena, rendendolo il punto focale. Si distingue si, eppure nessuno lo guarda, nessuno lo applaude e nessuno ride.

I critici suggeriscono che Hopper vedesse se stesso nel clown: un artista senza pubblico, che si sentiva vuoto e inosservato. Quando Hopper dipinse questo pezzo, era ancora in gran parte sconosciuto. Un artista senza un pubblico che lo apprezza può sentirsi ed essere visto, solo come un pazzo in cerca di attenzione. Questo sentimento mi risuona in testa mentre lo scrivo, mi ricorda come oggi nell’era dei social media, tutti diventiamo come il clown raffigurato, ci esibiamo e cerchiamo conferme attraverso un post o una storia sui social, cerchiamo questi maledetti like come un clown ricerca le risate del suo publico.

Quando peró ci rendiamo conto che un pubblico che ci apprezzi e ci convalidi non esiste, ci sentiamo, ancora una volta, soli e insignificanti proprio come la figura isolata che Hopper dipinse anni fa.

Oggi viviamo in una società di clown, dove tutti cerchiamo approvazione e attenzione da parte di chi ci circonda, dal nostro "gruppo". Tuttavia, spesso non ci rendiamo conto che il gruppo è composto da individui che cercano esattamente ciò che cerchiamo noi. Questo ciclo di ricerca di validazione ci lascia disconnessi e solitari, proprio come i protagonisti delle opere di Edward Hopper. Forse, riconoscendo questa dinamica, possiamo iniziare a trovare una connessione più autentica e significativa, rompendo il ciclo della solitudine moderna.


Con questo testo, spero di avervi invitato a riflettere sull’impatto distruttivo che i social media hanno nel cercare di validare noi stessi. Questo percorso di riflessione ci spinge a considerare come la ricerca di approvazione digitale possa amplificare la solitudine e l'alienazione. Inoltre, spero di avervi aiutato a scoprire o riscoprire Edward Hopper, uno degli artisti moderni più significativi, il cui lavoro continua a parlare in modo sorprendentemente attuale della nostra esperienza di isolamento e disconnessione.
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Song of the day - Ho deciso di introdurre questo piccolo bonus finale, una canzone che richiama i sentimenti e le sensazioni espresse nel post